venerdì 15 marzo 2013

Me & Mr. Bowie


David Bowie è uno di quegli artisti inserito nel'immaginario collettivo della musica che, per motivi innati, sono sempre presenti nella vita. Beatles, Rolling Stones, Queen e, appunto, Bowie, sono dal momento in cui nasci nomi che circolano attorno al proprio concetto di musica, anche se magari non si è mai sentita una canzone o un disco, o addirittura non li si è nemmeno mai visti raffigurati in qualche rivista.
Il mio primo approccio con il Duca Bianco, a livello musicale stretto, fu per (ovvi?) motivi pubblicitari: la Volkswagen inserì Heroes nel proprio spot e io ne rimasi estasiato da quel ritornello in crescendo, da quel we can be heroes just for one day così enfatizzato, da quei synth di sottofondo. Lo stesso effetto me lo fece Perfect Day di Lou Reed, altro artista inserito in quell'immaginario collettivo già citato, ma questa è un'altra storia.
Crebbi e Bowie rimase comunque a una certa distanza. Non ero così appassionato di musica da voler approfondire o affrontare una discografia, soprattutto se di un certo spessore. I tempi cambiarono, Rebel Rebel fu quasi una colonna sonora per l'estate, fino a quando non ascoltai finalmente Ziggy Stradust e capii, finalmente, ma anche con un po' di rammarico per non averlo fatto prima, cosa mi ero perso. L'epicità di Starman, le emozioni di Five Years e il glam della titletrack mi aprirono un mondo fatto di arte e trasformismo. E non a caso Bowie è un vero e proprio camaleonte della musica. Dai ritornelli di Changes e Life On Mars, passando per il periodo berlinese di Low fino al pop immerso nella disco di Let's Dance. Non si esagera forse dicendo che David Jones (all'anagrafe) abbia prodotto i singoli migliori al mondo, ma questa è sempre un'altra storia.
Di quello che uscì tra gli anni '90 e il 2003 un po' me ne fregai: Bowie, ormai incastonato tra le icone della musica, stava avvicinandosi a quel periodo di parodia di se stesso. Ma i grandi artisti sanno sempre quando fermarsi. Dieci anni di silenzio. Silenzio misto cecità, perché di Bowie non se n'è più vista traccia. "Sta lavorando a un nuovo disco" disse qualcuno. Non gli si diede troppa importanza.
E' il 2013 ed è il compleanno di David: viene annunciato The Next Day. Il Duca Bianco compie il passo che non aveva mai compiuto: trasforma la vecchiaia in consapevolezza e la riversa nel suo modo di essere. Non più il camaleontico, innovativo artista, ma la celebrazione di se stesso. Dall'innovazione alla rinnovazione. Un omaggio a quella che è stata Berlino, un omaggio a quello che è stato forse il periodo di massimo splendore di David Bowie. A testimonianza di ciò la copertina di Heroes, mio punto di partenza, coperta dalla scritta The Next Day inscritta in un quadrato bianco. Il giorno dopo, il next step. Omaggiarsi e omaggiare sì, ma con uno sguardo al futuro, come sempre ha fatto, e l'occhio vigile al presente, ponendosi la domanda più emblematica che l'uomo si sia mai posto negli ultimi vent'anni: Where Are We Now?


Nessun commento:

Posta un commento